Sono passati 16 anni dall’ultima volta in cui ho incontrato Raffaele. Sia io sia lui siamo diventati padri e ci riconosciamo dai segni, che portiamo ancora addosso, di un’adolescenza violenta.
Raffaele aveva il sinistro più veloce e potente che abbia mai visto. È stato anche campione italiano nella boxe “ufficiale”, ma ha corrotto il suo talento con risse per strada e mascelle spaccate, finché la camorra ha notato la sua ferocia.
Ha picchiato debitori per conto dei boss della camorra, ha pestato sindacalisti che non si piegavano ai clan che gestivano le imprese del Casertano. È finito in carcere, più volte, ma anche lì dentro ha trovato il modo di farsi rispettare, a forza di pugni. E quando è uscito ha inventato un metodo per truffare le assicurazioni, con la paradossale complicità delle vittime: un metodo basato su una violenza ancora più atroce.
Oggi Raffaele ha cambiato vita. Ma dentro ha sempre una fiammella accesa, e lui stesso sa bene quanto possa essere pericolosa.
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