Vicini di strada, di casa e di vita. Si incontrano online e ora di nuovo dal vivo, condividendo alcuni valori fondamentali: partecipazione, inclusione sociale e gratuità. Sono i membri delle social street – come quella del quartiere NoLo a Milano, la più famosa del momento – che durante la pandemia si sono aiutati a vicenda per risolvere uno dei problemi più urgenti: l’impossibilità di avere una vita sociale. E che, in generale, rappresentano un bisogno sempre più diffuso di tornare a una vita di micro-comunità che sembrava essere stata cancellata dalla metropoli contemporanea.
«Negli ultimi trent’anni siamo andati verso un progressivo individualismo e un crescente consumismo», dice Raul Pantaleo, l’architetto degli ospedali di Emergency nel mondo. «Adesso dobbiamo ricostruire un’idea di comunità, e l’architettura non può che essere partecipe di questa trasformazione». In che modo? Favorendo nuove forme di convivenza tra le persone e ripensando la funzione degli spazi pubblici e privati, delle piazze come delle case: luoghi che possono curare e dare benessere, per quello che rappresentano per ciascuno di noi ma soprattutto per la bellezza che possono trasmettere.
Ne parliamo con: Raul Pantaleo, appunto, architetto di TAMAssociati e degli ospedali di Emergency nel mondo; Daniele Dodaro, fondatore di NoLo Social District; il professor Paolo Inghilleri, autore di un libro sui luoghi che curano.