E06. Milano e le periferie
Irrequieta, cannibale, contraddittoria e amante del futuro. Milano ha fatto della modernità la sua cifra. Anche troppo, nel senso che corre a una velocità impressionante, lasciando indietro chi corre a una velocità diversa. Tanto che le richieste di misure di sostegno, cioè reddito e pensione di cittadinanza, nel 2021 sono cresciute dell’85%, mentre tra centro e hinterland hanno chiuso 600 negozi.
Per raccontarla, avremmo potuto alzare lo sguardo verso le ultime vette della “città verticale”, costruite da grandi immobiliaristi quasi tutti nelle mani di fondi finanziari. E invece abbiamo scelto di restare al piede dei palazzi popolari nelle zone ai margini, dove complessità e fragilità sono termini sempre attuali, nonostante la diffusa gentrificazione di alcune aree come Isola o NoLo, e i profondi cambiamenti avvenuti negli ultimi anni.
Ne parliamo con: Gianni Biondillo, scrittore e residente di via Padova, una delle strade periferiche per eccellenza; Alessandro Maggioni, presidente del Consorzio Cooperative Lavoratori; Gabriele Pasqui, professore di Politiche Urbane al Politecnico di Milano; Federica Verona, architetto e ideatrice di Super! Il festival delle periferie.
Di seguito la trascrizione completa dell’episodio.
[GIANNI BIONDILLO]
Allora, innanzitutto le periferie non esistono. Cioè, la nostra idea di periferia è dentro una cornice concettuale che è vecchia di almeno 50 anni.
CARLO ANNESE
Gianni Biondillo è uno scrittore famoso soprattutto per una serie di gialli che si svolgono nella periferia milanese, tra via Padova e Quarto Oggiaro.
LUCA MOLINARI
Gianni, in realtà, è un architetto di formazione. A metà degli Anni 80 abbiamo studiato insieme al Politecnico, e nei suoi romanzi, pubblicati da Guanda, la vera protagonista è la città. Tempo fa ne ha dedicato uno ad Antonio Sant’Elia, il padre dell’architettura modernista italiana: un inno all’amore appassionato per la visionarietà nel progetto e nel futuro come energia necessaria. A febbraio del 2022, invece, ha scritto un saggio in cui parla di design, spazi e territorio, che si intitola Lessico metropolitano.
[BIONDILLO]
A Milano non esistono periferie. Questo non significa che non esistano quartieri con problemi, con frizioni, con particolarità, ma se iniziassero a chiamarli quartieri – a Milano ce ne sono 88, altro che nove municipi! ci sono 88 quartieri – ecco, se restituissimo identità a ognuno di questi quartieri, faremmo il primo dei più importanti dei lavori, che è soprattutto simbolico.
CARLO ANNESE
Da NoLo (North of Loreto) a SouPra (South of Prada), fino a Na.Pa., cioè Naviglio Pavese: Milano avrà pure smesso di essere la Città da bere degli Anni 80, ma nel frattempo è diventata la Città degli acronimi. Invenzioni linguistiche create per riverniciare l’esistente, che fanno ormai parte del modo di pensare dei milanesi e delle aspettative dei turisti, arrivati dopo l’Expo del 2015, che vanno alla ricerca delle tante nuove Milano, come fosse una piccola New York.
LUCA MOLINARI
Milano ha fatto della modernità la sua cifra. È una città irrequieta, cannibale, contraddittoria e amante del futuro. Negli ultimi vent’anni la sua cintura industriale è stata riconvertita in una nuova porzione di metropoli, e neanche la pandemia ne ha fermato la crescita e lo sviluppo di nuove costruzioni. Si tratta, comunque, di cambiamenti interessanti, con i quali Milano sta ripensando il rapporto tra il centro e aree perimetrali che si muovono costantemente, nella distribuzione dei gruppi sociali e nell’uso degli spazi. Per questo, gli acronimi hanno un senso: sono il modo migliore di fissare ciò che è fluido. Mi chiedo, però, quale identità vorranno acquisire nei prossimi decenni Milano e le altre città italiane medio-grandi, in tempi in cui la crescita vertiginosa non è più immaginabile e la sfida principale riguarda la sostenibilità del Pianeta.
CARLO ANNESE
Per rispondere a queste domande, abbiamo di fronte due possibilità: o alzare lo sguardo verso le ultime vette della “città verticale” oppure restare al piede dei palazzi popolari nelle zone ai margini, dove complessità e fragilità sono termini sempre attuali, nonostante i profondi cambiamenti avvenuti anche negli ultimi due anni. Noi, lo avrete capito, scegliamo la seconda.
Io sono Carlo Annese…
LUCA MOLINARI
Io sono Luca Molinari…
CARLO ANNESE
E questo è Le Case di Domani – Come vivremo e dove abiteremo dopo il Covid. Un podcast prodotto da Piano P con il sostegno di Gibus – Pergole e tende per vivere alla luce del sole.
[BIONDILLO]
L’identità è una cosa che si mette in gioco e sulla quale si scommette quotidianamente. Io abito in una strada di Milano particolarissima che è via Padova, che è da sempre una porta di ingresso di tutte le immigrazioni: agli inizi del Novecento erano quelli che venivano dal contado, che venivano dalla provincia dalla Lombardia, dal Piacentino, dal Veronese, eccetera; dalla seconda metà del secondo dopoguerra erano i meridionali che venivano dal Sud Italia; adesso sono quelli che vengono da tutto il mondo. C’è contemporaneamente una sua identità di porta d’accesso e allo stesso tempo è cambiata antropologicamente la fauna e l’umanità che ci sta attorno.
CARLO ANNESE
L’ultimo romanzo di Biondillo si intitola, non a caso, I cani del Barrio. Al centro della storia, insieme all’ispettore Ferraro del commissariato di Quarto Oggiaro, ci sono bande di latinos che vanno in giro tra via Padova, Corvetto e Rogoredo a marcare il territorio con la violenza, armati di machete.
[BIONDILLO]
E poi ovviamente dall’altra parte a contraltare c’è il tema della gentrificazione, che è un tema che viene da lontano, che viene dalle grandi metropoli come Londra, come Parigi, cioè questo portar fuori l’anima popolare di molti quartieri.
CARLO ANNESE
Il caso più emblematico è quello di Isola: trent’anni fa era territorio di balordi, ladruncoli e poveri artigiani; ora è una delle zone più cool di Milano…
[GABRIELE PASQUI]
…ma ci sono tanti altri quartieri che sono soggetti a processi simili o lo saranno.
CARLO ANNESE
Questo è Gabriele Pasqui. Insegna Politiche Urbane al Politecnico di Milano e negli ultimi anni si è occupato soprattutto di periferie e città fragili.
[PASQUI]
Si pensi per esempio a tutta la zona che sta a sud dello scalo di Porta Romana, in fase di forte trasformazione.
CARLO ANNESE
Attorno a quell’ex area ferroviaria di 190.000 metri quadrati dismessa da anni si gioca una parte importante del futuro sostenibile di Milano. Un tempo barriera invalicabile tra le zone Est e Sud della città, ospiterà il Villaggio per gli atleti dell’Olimpiade invernale del 2026 e, una volta finite le gare, sarà trasformato in residenze, uffici, social e student housing. Il tutto in base a un Masterplan che prevede un investimento di 180 milioni di euro.
LUCA MOLINARI
Le diverse operazioni intorno agli ex scali ferroviari sono la grande occasione per la futura identità di Milano, e andranno valutate con molta attenzione. Si tratta di spinte che porteranno inevitabilmente a un eccezionale sviluppo immobiliare anche in zone che hanno già avuto crescite irresistibili rispetto ai parametri tradizionali. La società di ricerche di immobiliare.it prevede che nel 2022 Milano continuerà a essere la città più cara d’Italia, con un prezzo al metro quadro superiore ai 5.100 euro e quotazioni in crescita in media del 4,2%. Gli aumenti maggiori, però, non si registreranno in centro, ma a NoLo, che negli ultimi anni ha conosciuto un’intensa gentrificazione. Sono certo che un effetto simile a quello che si è avuto in questo quartiere a Nord di Loreto si espanderà rapidamente verso l’esterno della città, con effetti interessanti su aree che fino a pochi anni fa erano considerate solamente periferiche.
[PASQUI]
Allora, io voglio provare a essere preciso su questo punto. Io non demonizzo i processi di cambiamento spontaneo che la città si porta dietro, perché spesso stiamo parlando di situazioni nelle quali comunque c’erano delle criticità e c’erano delle difficoltà. Però è vero che la gentrificazione non governata, non controllata, senza regia pubblica, può creare diversi problemi: di espulsione di alcune tipologie di popolazioni; di cambiamento drastico e radicale dell’offerta, per esempio commerciale, in una chiave diciamo tutta di mercato, di afflusso di persone dall’esterno eccetera, che di per sé non è negativa ma snatura molto l’identità di questi luoghi; e poi indubbiamente appunto di perdita delle identità.
CARLO ANNESE
Intanto, alla fine del 2020, migliaia di milanesi hanno perso il lavoro. Le richieste di misure di sostegno, cioè reddito e pensione di cittadinanza, sono cresciute dell’85%. Tra centro e hinterland, hanno chiuso 600 negozi. Assolombarda ha calcolato che il tasso di disoccupazione giovanile è salito al 22%, in un quadro di generale difficoltà e con un ritorno dell’inflazione che sta riducendo drasticamente i consumi. Quanto alle case, secondo il Rapporto AsviS (l’Alleanza per lo sviluppo sostenibile), a livello nazionale gli ultimi due anni hanno peggiorato il disagio abitativo, che ora riguarda più di 1,1 milione famiglie. Per non parlare di salute, educazione e uguaglianza di genere, rispetto agli obiettivi posti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
[PASQUI]
La pandemia non è che abbia generato i problemi, li ha radicalizzati. Faccio tre esempi semplici. Il primo è la dimensione degli alloggi: cioè molto spesso noi abbiamo avuto situazioni nelle quali alloggi in cui abitavano molte persone presentavano ovvie difficoltà. Secondo aspetto, la dimensione dello spazio aperto: in questo è interessante osservare che le periferie non sono tutte uguali. Si pensi alla prima generazione per esempio nella nostra città di quartieri periferici nei quali i cortili/le corti avevano un ruolo molto importante: quelli sono stati spazi vitali mentre invece in altre situazioni è stato molto più difficile per le persone poter condividere degli spazi comuni collettivi e quindi questo naturalmente ha ancora peggiorato la situazione la condizione di chi viveva in periferia. Terzo aspetto, che è molto importante: le periferie sono oggi un luogo di concentrazione soprattutto di deprivazione dal punto di vista lavorativo, e chi ha lavori più fragili, più precari è stato fortemente penalizzato anche dalla pandemia.
LUCA MOLINARI
Gabriele Pasqui è stato tra i promotori di una “Lettera collettiva per Milano” firmata da un gruppo di docenti del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico. Questa lettera contiene una riflessione aperta sulla città, indirizzata a chi la governa e a chi la governerà. Quelli che verranno, dicono i colleghi del Politecnico, saranno anni molto importanti e delicati per decidere il destino della città e della sua popolazione, e Milano deve essere pronta ad affrontare eventuali nuove emergenze senza che gli effetti sull’economia e sulla società siano più pesanti persino di quelli sulla salute,…
[FEDERICA VERONA]
… nel senso che Milano corre ad una velocità impressionante, come è anche giusto che sia, però purtroppo lasciando indietro chi corre ad una velocità diversa.
CARLO ANNESE
Lei è Federica Verona. Si occupa di disagio abitativo, con ricerche sul campo, progetti di housing sociale, servizi all’abitare e soprattutto attraverso Super!, un festival delle periferie che ha creato nel 2015.
[VERONA]
Era un periodo in cui si parlava di rammendare le periferie: nei giornali e nelle campagne elettorali le periferie erano i luoghi del degrado, del disagio. E, non negando ovviamente alcune problematiche anche molto forti di alcuni quartieri, abbiamo invece provato a mettere in discussione la nostra professionalità di architetti, designer, urbanisti, fotografi proprio per provare (…) uno sguardo lontano dalla visione mainstream, andando ad ascoltare tutte quelle realtà che dal basso fanno le periferie, di fatto rispondendo a dei bisogni, a una domanda che loro ben conoscono, perché sono associazioni, gruppi informali, singoli individui.
CARLO ANNESE
Super! doveva durare tre giorni e invece è diventato un festival permanente: in due anni ha incontrato 200 di queste realtà, ha attraversato la città con 23 tour ed elaborato 11 progetti. E tutto ciò ha portato a pubblicare nel giugno del 2021 una seconda lettera aperta per Milano, oltre a quella dei prof del Politecnico.
[VERONA]
Ci sembrava utile provare a guardare in faccia anche i rimossi di questa città e provare a parlare a (…) chi la agisce, alla politica, facendolo proprio con chi non fa politica ufficialmente, ma la fa veramente dal basso. Cioè io penso che anche la nostra attività di Super! il Festival delle periferie sia un modo di fare politica, come lo è (…) quella di tantissime realtà che attraverso il loro lavoro, il loro fare quotidiano, partecipando a bandi, molto spesso avendo anche altri lavori per poter generare azioni e attività e spazi culturali, sociali e di welfare nella città, poi di fatto vengono in qualche modo penalizzati anche dalla grande crescita del mercato immobiliare.
LUCA MOLINARI
Federica rappresenta la figura dell’architetto di nuova generazione e insieme di intellettuale impegnata a interrogare criticamente la realtà in cui è immersa. È consigliera di gestione del Consorzio Cooperative Lavoratori e coordina un bel progetto di social housing a Quarto Cagnino, un quartiere della periferia Ovest: tre edifici residenziali con 90 alloggi, suddivisi tra proprietà, affitto a canone convenzionato e a canone sociale, quindi un luogo in cui privato, collettivo e pubblico mettono alla prova la loro capacità di convivenza. Si tratta di un intervento con una forte contemporaneità perché supera la tradizionale visione della residenza-dormitorio ma punta, da una parte, a una mixitè sociale ed economica necessaria con un’offerta diversificata e, dall’altra, a immaginare un utilizzo degli spazi pubblici e comuni come luogo d’incontro, scambio e dialogo e per economie a Km0.
[VERONA]
Lavoriamo molto su questi temi perché stiamo – da una serie anche di fallimenti, eh, dove abbiamo progettato case con spazi comuni molto ampi che sono vuoti perché vengono usati solo dagli abitanti per litigare durante l’assemblea condominiale – abbiamo proprio invece iniziato a ragionare con loro sulla destinazione di quegli spazi comuni, costruendo insieme un regolamento d’uso. Lavorando molto attentamente su quella che è la domanda. Cioè oggi si vedono molto frequentemente queste pubblicità in cui si parla della sala comune, dello spazio comune, si vendono molto bene, ma se poi si vanno a guardare le iniziative, molto spesso sono un po’ gated community, degli spazi che, invece di aprirsi alla città, sono recintati, cancellati, ad uso esclusivo degli abitanti che però a volte è un po’ pericoloso, forse, perché quello che ci siamo portati dietro da questa pandemia è molto la paura del contatto con gli altri, la paura del ricominciare a uscire dalle nostre case. Invece credo che sia importante riaprire i propri contesti abitativi all’esterno. E quindi ragionando sugli spazi al piede ma permettendo che questi spazi al piede siano magari di uso di alcune associazioni, di alcune reti, realtà di zona oppure ragionando proprio sulla affidare degli spazi comuni a dell’attività che possono in qualche modo aiutare l’economia delle persone, come la colf condivisa, il servizio di lavanderia con la possibilità di avere una persona che stira per tutti, le lezioni dei doposcuola per i bimbi. Insomma ragionando su questioni concrete, ecco.
CARLO ANNESE
Quello espresso da Federica Verona è un concetto avanzato di social housing, uno dei tanti inglesismi entrati nel linguaggio comune che indicano interventi di politica abitativa di interesse pubblico associati ad azioni di accompagnamento sociale. Qui siamo al confine con il co-housing, cioè la condivisione degli spazi comuni attraverso la promozione di uno stile di vita collaborativo. Ma c’è chi va anche oltre le definizioni classiche. Sentite Alessandro Maggioni: è il presidente del consiglio di amministrazione del Consorzio Cooperative Lavoratori, un colosso fondato nel 1974 per aiutare a risolvere i problemi abitativi dei lavoratori delle Acli e della Cisl e che oggi riunisce più di 30 coop del settore.
[ALESSANDRO MAGGIONI]
Noi abbiamo registrato questo marchio, che di fatto era un po’ un vezzo mio, non tanto di cohousing ma di common housing, cioè un abitare come bene comune, non in una logica di marketing o, come dico spesso, un po’ moralistica, perché poi la gente ha bisogno di stare nella dimensione collettiva ma nell’equilibrio nella dimensione anche privata. Io ho interiorizzato una delle lezioni del mio maestro, che è l’urbanista e poeta Giancarlo Consonni, che dice che le città migliori che funzionano sono quelle che hanno un equilibrio tra moto e quiete.
CARLO ANNESE
Secondo uno studio di Nomisma a livello nazionale, le cooperative sono state tra le poche in grado di fornire risposte concrete alla domanda di case a prezzi abbordabili: negli ultimi dieci anni, per esempio, i gruppi che fanno capo a Lega Coop Abitanti hanno costruito 9.600 alloggi, il 77% dei quali in capoluoghi metropolitani dove il livello degli affitti è spesso insostenibile e l’acquisto di una proprietà rimane a lungo un desiderio irrealizzabile, tanto più per la generazione dei Millennials: solo il 6% degli immobili in Italia è posseduto da under 35.
[MAGGIONI]
Una volta era così, cioè cooperativa era sinonimo di periferia o di marginalità. Questo è stato il grande shift che abbiamo fatto, in questo devo dire anche grazie al contesto milanese, cioè aver dovuto esporci al confronto con il mercato ci ha chiamato, ci ha interrogato. Cioè se noi stavamo rinserrati nella dimensione dell’assistenza, che non c’è stata più da circa vent’anni in qua a Milano, dell’edilizia assistita, saremmo scomparsi. (…) Oggi non è così perché con il fatto di fare operazioni con lo spirito mutualistico, con i principi cooperativi anche in zone non dico centrali ma semi centrali – a Milano, poi, tutto sommato, il fermento è molto diffuso su tutto il territorio, però sui Navigli nel passato non l’avremmo mai fatto – ci consente anche di essere dei soggetti che limitano un po’ questa violenta gentrificazione che oggi Milano vive, no? Quindi direi che oggi non è più così.
CARLO ANNESE
E proprio sui Navigli, una delle zone di pregio della città, all’inizio del 2022 il Consorzio ha portato a termine un’operazione particolarmente significativa: il salvataggio di uno dei più ambiziosi progetti privati di co-housing, l’Urban Village. Era stato disegnato da Cino Zucchi come atto di rigenerazione urbana ed era piaciuto a 75 famiglie, che avevano versato 40 mila euro ciascuna, ma le cose non sono andate come promesso. Finché…
[MAGGIONI]
mi chiama il mio amico Matteo Cabassi,
CARLO ANNESE
uno dei più importanti immobiliaristi della vecchia scuola milanese.
[MAGGIONI]
Cabassi dice: abbiamo guardato i numeri, abbiamo visto la complessità e l’unico che può metterci la testa, a provare a capire, a dipanare la matassa siete voi, sei tu.
CARLO ANNESE
Urban Village Navigli potrà mantenere la promessa: quattro palazzine con spazi collettivi, fra cui aree per sport e coworking.
[PASQUI]
Io credo che ci siano molte cose che si possono fare contemporaneamente. La prima è dare fiducia all’housing sociale, agli attori del privato sociale, alle fondazioni, alle cooperative, che sono attori importanti nella nostra città. Dare fiducia alla loro capacità di fare, perché lì non si tratta di pianificare ma di accompagnare i processi.
CARLO ANNESE
Questo è di nuovo il professor Pasqui, il quale auspica peraltro la creazione di un laboratorio di urban maker per la ricerca di soluzioni ai problemi strutturali delle periferie: servizi sociali efficienti, scuole che diventino hub, spazi pubblici manutenuti.
[PASQUI]
Dall’altra però sono onesto: io credo che a Milano bisogna costruire ancora case popolari. Case popolari, che non sono l’housing sociale: sono quelle a cui si accede con i meccanismi ordinari dell’accesso alla casa pubblica e, soprattutto, lavorare sul patrimonio di edilizia residenziale pubblica esistente; questa è una sfida enorme…
CARLO ANNESE
Una sfida che rilancia anche lo scrittore Gianni Biondillo dalla sua casa di via Padova.
[BIONDILLO]
Milano ha un patrimonio edilizio popolare e pubblico enorme. Allora restituire dignità significa restaurarli, ripulirli, riqualificarli, riammodernarli e anche costruirne di nuovi. Anche perché in un momento in cui tu hai questa pedina – questi grossi volumi edilizi all’interno della città – puoi gestire anche lo spazio pubblico in maniera differente; se lasci tutto al mercato, il mercato è indifferente alla proprietà comune. Al mercato interessa solo la proprietà personale, privata.
LUCA MOLINARI
Ha ragione Gianni. Queste immense porzioni di territori costruite negli ultimi cinquant’anni rappresentano la vera sfida progettuale, politica, sociale ed economica per le amministrazioni pubbliche e gli investitori avveduti per i decenni a venire. Spesso soffrono di vecchi stereotipi radicati nella mente di chi guarda dal centro e non è capace di interpretare mondi che con il passare del tempo sono profondamente cambiati, ma a cui non ha mai dato ascolto. Le periferie, invece, sono le nostre miniere nascoste.
CARLO ANNESE
Torneremo a parlarne in un altro episodio, partendo proprio dalla vita sociale di uno dei quartieri simbolo di questa trasformazione, NoLo. Nella prossima puntata, invece, ci metteremo in tuta davanti a un computer per capire in che modo due anni di videochiamate su Zoom e di lavoro agile da casa hanno cambiato anche i nostri abiti, oltre al nostro modo di abitare. A presto!
[SIGLA FINALE]
Le case di domani è un podcast di Carlo Annese e Luca Molinari, prodotto da Piano P con il sostegno di Gibus – Pergole e tende per vivere alla luce del sole.
Editing audio di Giulia Pacchiarini. Montaggio di Giacomo Vaghi. Ha collaborato ai testi Cristina D’Antonio.