E04. L’ufficio in soggiorno e un divano in ufficio
Tra aprile e novembre del 2021, un milione 195.875 italiani si sono dimessi volontariamente: il 23% in più rispetto ai tempi pre-Covid e soprattutto nella fascia d’età tra i 26 e i 35 anni. Sono queste le dimensioni del fenomeno delle “grandi dimissioni” che sta sconvolgendo il mondo del lavoro ed è in buona parte una conseguenza del modo agile in cui quel lavoro verrà svolto sempre di più – principalmente da casa – creando nuovi bisogni e nuove abitudini.
Quanto spazio c’è, però, per queste funzioni in appartamenti figli del secolo passato e di una divisione rigida tra una zona living, quella della cucina e dei servizi, e l’area notturna, privata e del riposo? Una struttura fisica e concettuale del genere non può sopravvivere a un mondo sempre più fluido e ibrido che impone cambiamenti continui nell’uso quotidiano e immediato dei luoghi domestici.
Ma soprattutto, torneremo un giorno a lavorare in un ufficio? E come sarà: un open space con scrivanie incollate l’una all’altra oppure una batteria di cubicoli divisi da lastre di plexiglass? Forse né l’uno né l’altra, piuttosto un ambiente accogliente, che riprodurrà il comfort tipico delle nostre case, con caffetterie e angoli in cui socializzare, molte meno scrivanie e pareti scorrevoli in grado di creare sale riunioni a seconda delle necessità del momento.
Ne parliamo in questo episodio con: Flavia Amoroso, Operation Manager dell’associazione South Working e “grande dimissionaria”; Chiara Bisconti, autrice del libro Smart, agili, felici (Garzanti); Francesca Magni, direttrice del mensile Casa facile, e Nicola Russi, cofondatore dello studio di architettura Laboratorio Permanente.
Ecco la trascrizione completa dell’episodio.
[SPEAKER]
«Caro Carlo, il 2021 è stato un anno senza precedenti. Lo chiamiamo #Great Reshuffle, una fase del mondo professionale in cui tutti noi stiamo riconsiderando non solo il modo in cui lavoriamo, ma anche i motivi per cui lavoriamo».
CARLO ANNESE
Se siete su Linkedin, anche voi dovreste aver ricevuto una mail del genere: è il riepilogo di quel che è successo l’anno scorso nella rete dei contatti personali. Nella mia rete, il 25% in più delle persone ha cambiato lavoro rispetto a prima della pandemia, le offerte per posizioni a distanza sono quasi raddoppiate e in 248 hanno cambiato lavoro. Come Flavia Amoroso, che ha trent’anni ed è cresciuta a Licata, provincia di Agrigento.
[Flavia Amoroso]
Mi sono trasferita a Bologna, per studiare, nel 2010, a 19 anni, e fondamentalmente ci sono rimasta fino allo scorso anno. Quindi, dopo il percorso universitario, ho iniziato a lavorare: lavoravo per un’azienda come consulente legale perché mi sono formata da avvocato. (…) Durante la pandemia mi sono resa conto che più di prima sentivo l’esigenza di fare un lavoro che fosse più in linea con le mie aspettative, con le mie ambizioni, e che la città dove vivevo aveva cominciato a stancarmi, e sentivo più forte che mai il desiderio di tornare in Sicilia. Ho dato le dimissioni comunque da un posto di lavoro che era abbastanza stabile, abbastanza tradizionale, ho fatto i pacchi e sono tornata a vivere giù.
CARLO ANNESE
Flavia fa parte di quel milione 195.875 italiani che tra aprile e novembre 2021 si sono dimessi volontariamente: il 23% in più rispetto ai tempi pre-Covid, e soprattutto nella fascia d’età tra i 26 e i 35 anni. È il fenomeno delle Grandi Dimissioni di cui si parla tanto, specie sui giornali americani, che hanno anche coniato una definizione efficace: YOLO Economy, cioè You Only Live Once – Si vive una volta sola. I motivi sono diversi – il tasso di soddisfazione dei lavoratori italiani tra i più bassi al mondo; la diminuzione degli stipendi negli ultimi venti anni mentre negli altri 37 Paesi dell’Ocse sono aumentati; il tasso di occupazione più basso d’Europa, dopo la Grecia – ma a questo fenomeno delle dimissioni ha contribuito soprattutto la scoperta (obbligata dai lockdown) del lavoro agile, quello che erroneamente continuiamo a chiamare smart working. Insomma, il lavoro da casa.
LUCA MOLINARI
In questi ultimi due anni tutti gli elementi della nostra vita urbana – ovvero lavorare, educare, le relazioni sociali, la cura sanitaria, l’attività sportiva – hanno invaso le nostre case, generando uno sbilanciamento che non era mai avvenuto nella nostra vita e imponendo un cambiamento radicale non solo delle nostre abitudini ma anche degli spazi che abitiamo. Ma è anche vero che si tratta di un fenomeno molto più complesso, accelerato in maniera paradossale dalla pandemia, che stava progressivamente spostando sempre più funzioni esterne dai tradizionali ambienti di lavoro alle nostre case, portando insieme a una metamorfosi interessante di tutta una serie di spazi urbani, capaci di essere a metà tra la dimensione informale della vita domestica e gli spazi produttivi.
CARLO ANNESE
Case che fanno da ufficio, insomma, e uffici che devono essere comodi e accoglienti come case.
LUCA MOLINARI
Più o meno, è così.
Io sono Luca Molinari…
CARLO ANNESE
… Io sono Carlo Annese. E questo è Le case di domani – Come vivremo e dove abiteremo dopo il Covid. Un podcast prodotto da Piano P con il sostegno di Gibus – Pergole e tende per vivere alla luce del sole.
[SIGLA]
CARLO ANNESE
Partiamo dalle definizioni.
[Chiara Bisconti]
Lavoro agile significa, come dice la legge 81 del 2017, effettuare la propria prestazione lavorativa alternando ufficio ad altri luoghi. E in questi “altri luoghi” c’è la casa, come può esserci un co-working, come può esserci un parco pubblico quando le condizioni meteorologiche ce lo consentono, come può essere un albergo dove si tiene insieme un periodo di vacanza e un periodo di lavoro. Quindi, la definizione tiene insieme forte il concetto di ufficio, che non si abbandona ma apre a tanti altri luoghi, di cui la casa è una delle possibilità.
CARLO ANNESE
Questa è Chiara Bisconti, consulente per le risorse umane, dopo essere stata manager di una multinazionale e assessora al Benessere e alla Qualità della vita del Comune di Milano. Alla fine del 2021 ha pubblicato un libro per Garzanti con un titolo in cui lei crede fermamente: Smart, Agili, Felici.
[Chiara Bisconti]
Perché il lavoro agile mette al centro il tempo e un uso intelligente e libero del tempo. Io credo che noi essenzialmente siamo esseri fatti di tempo e se abbiamo la possibilità di usarlo nel modo che si avvicina di più ai nostri desideri e il mondo reale di essere felici noi ci lasciamo alle spalle un modello di lavoro tradizionale in cui il nostro tempo era assoggettato a scelte altre. La nostra vita quindi era spezzettata in tempi imposti da soggetti esterni a noi. Il lavoro agile ci riporta in possesso del nostro tempo e quindi ci rende felici.
CARLO ANNESE
Non so se siano proprio tutti felici, ma secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, i lavoratori da remoto sono passati dai 570.000 del 2019 ai 6.580.000 di marzo 2020, per assestarsi a poco più di 4 milioni nel 3° trimestre del 2021. Con la fine dello stato d’emergenza dovrebbero consolidarsi intorno ai 4.380.000. L’81% delle grandi imprese manterrà il modello ibrido: i dipendenti di Barilla, Unicredit o Fastweb, solo per fare dei nomi, continueranno ad alternare giornate in presenza e da remoto, grazie ad accordi individuali che prevedono anche il diritto a disconnettersi dalla rete. Complice la diffidenza del ministro Brunetta, invece, questo sistema si applicherà a fatica al 50% della Pubblica Amministrazione.
LUCA MOLINARI
Ma qui il vero problema non è tanto la politica o la burocrazia. È lo spazio: quanto ce n’è, dentro case che sono figlie del secolo passato e di una divisione rigida degli spazi funzionali, tra una zona living, quella della cucina e dei servizi, e l’area notturna, privata e del riposo? Una struttura fisica e concettuale del genere non può sopravvivere a un mondo sempre più fluido e ibrido, che impone cambiamenti continui nell’uso quotidiano e immediato degli spazi. La quarantena ha sollevato la necessità di luoghi informali, fluidi, appunto, e flessibili, che non erano previsti dalle tipologie costruite dal dopoguerra a oggi. Paradossalmente era più funzionale una casa antica, di cui una volta si condannavano gli spazi troppo ampi e poco razionali, piuttosto che le nostre perfette scatolette abitative immaginate nel ‘900.
[Chiara Bisconti]
Io rifuggo, quando sento dire “Fatevi nella vostra casa l’angolo ufficio”, che era il vecchio telelavoro. Io spingo le persone a interrogarsi sul loro rapporto col tempo, a capire quando hanno picchi di produttività, quando sono più portati a socializzare, quando il loro lavoro richiede concentrazione e andarsi a cercare – anche all’interno della propria casa – il momento e l’angolo che soddisfa quell’attività. Noi siamo molto rigidi sul tenere insieme spazio tempo e attività da fare in quello spazio-tempo, invece la mia sollecitazione è: conosciamoci, ascoltiamoci e capiamo come usare al meglio ogni singolo pezzo dello spazio che ci viene offerto. Se il mattino voglio stare inondata dalla luce, lavoro della cucina, se il pomeriggio voglio invece essere molto creativa mi posso anche sdraiare sul letto e ipotizzare, immaginare un pezzo del mio lavoro lì: quindi, anche all’interno dei limiti della casa, trovare lo spazio giusto per il lavoro giusto.
CARLO ANNESE
A questo, però, si deve aggiungere lo spazio e il tempo per il lavoro del partner e per la didattica a distanza dei figli, anche se diventiamo, ogni giorno di più, un Paese di single. Bisogna riuscire, insomma, a conciliare esigenze diverse, se è vero che, a proposito delle Grandi Dimissioni di cui parlavamo all’inizio, tre su quattro sono state di donne che non riuscivano più a dividersi tra il lavoro e la cura dei figli.
[Francesca Magni]
Nella maggior parte delle case, oggi ogni spazio accoglie più funzioni. Basterebbe un video in time-lapse sopra i nostri tavoli da pranzo per visualizzare in pochi secondi le trasformazioni che subisce oggi la casa nelle ore del giorno!
CARLO ANNESE
Francesca Magni dirige il mensile Casa facile e non è affatto ottimista sulla capacità della pandemia di indurci a cambiare abitudini, come farebbero credere ricerche e sondaggi.
[Francesca Magni]
I dati delle agenzie immobiliari dicono che dopo la pandemia la gente cerca 2 cose: la cosiddetta stanza in più, e uno spazio all’aperto. Noi abbiamo fame di spazio perché abbiamo capito che abiteremo la casa più intensamente. Ma non è solo questione di mq né di come sono suddivisi. Per me è soprattutto una questione di paesaggi domestici. Bisogna creare scorci. (…) Io per esempio amo molto l’architettura d’interni francese di questi anni. Lì si lavora ad aprire finestre tra le stanze per sfruttare meglio la luce; si sostituiscono pareti in muratura con pareti vetrate in legno o in ferro, e poi le si dota di tende per oscurare e creare privacy quando occorre: così nascono quelli che chiamiamo spazi versatili. Questo lavorare sui muri divisori delle stanze crea diverse funzioni ma crea anche nuove vedute per l’occhio.
LUCA MOLINARI
Tutto vero, ma dobbiamo anche immaginare che milioni di persone vivono in quelle periferie residenziali costruite dopo gli anni Sessanta, in cui ogni spazio era stato calcolato all’insegna di massima razionalità e massimo risparmio. Veri quartieri dormitorio in cui ogni funzione pubblica e complessa era demandata alla città e alle amministrazioni locali (?). Tutta questa fetta di popolazione non ha molti margini di azione e il modello culturale ed economico che ha generato questi milioni di metri cubi che popolano tutte le città del mondo oggi sta dimostrando drammaticamente tutti i suoi limiti.
CARLO ANNESE
Del rapporto tra centro e periferie, intese come luoghi di fragilità e disagio, parleremo in uno dei prossimi episodi. Qui, intanto, si può fare un altro discorso sulla cosiddetta casa borghese, in cui i margini di azione e i metri quadri in più consentono possibilità di cambiamento. Da alcuni mesi il giornale di Francesca Magni è diventato anche un laboratorio pratico che cerca di rispondere alle nuove necessità ibride.
[Francesca Magni]
Ci chiedono di mettere delle pezze a case pensate male, in cui oggi stiamo per più tempo e a svolgere più attività. Secondo me le case dei primi del ‘900, con le stanze ampie e i soffitti alti, si prestano bene a nuove ripartizioni creative. (…) Anche le abitazioni costruite tra gli Anni 50 e 70, con il tradizionale impianto ingresso-corridoio-tinello, quegli spazi preziosi che a un certo punto sono stati considerati spazi sprecati, oggi offrono ancora ottime possibilità di ricavare angoli da dedicare a funzioni nuove, che siano lo smart working o un hobby. Quello che trovo superato e non più desiderabile invece è il modello che si è imposto negli ultimi 3-4 decenni: l’ingresso in soggiorno, i soffitti bassissimi, l’eliminazione dei disimpegni, lo spazio risicato per la semplice ragione che il metro quadro costa. Sono le case in cui sotto la finestra viene ancora alloggiato il termosifone. Oggi, soprattutto in città, i vani sotto le finestre dovrebbero ospitare divanetti dove godere della luce naturale. Una panca contenitore coperta da un cuscino, per esempio, per una doppia funzione: storage e benessere. Come ha detto l’architetto americano Louis Kahn, «Dovremmo imparare a progettare come se non esistesse la luce artificiale».
LUCA MOLINARI
La luce è il più economico dei materiali da costruzione e, insieme, la qualità più difficile da utilizzare in un progetto di architettura! Ma la sua gestione intelligente, unita a una corretta areazione degli ambienti può determinare l’incremento o il crollo di qualità della nostra vita quotidiana. Una casa è un corpo vivente, muta con le giornate e le stagioni. Basta passare con attenzione una giornata in casa osservando come la luce filtra negli ambienti e li modella per coglierne l’importanza e il valore.
CARLO ANNESE
E poi ci sono gli spazi flessibili, fluidi; stanze che appaiono e scompaiono. Ricordate la casa di 32 mq raccontata da Gary Chang nel primo episodio? Ecco, Vitra, grande marchio del design per ufficio, ha creato i Dancing Walls, pareti attrezzate che si spostano su ruote per creare sale riunioni, angoli relax o divisori tra le scrivanie. Soluzioni che si potrebbero anche applicare ai nostri nuovi appartamenti ibridi.
LUCA MOLINARI
Tutto era cominciato con la scoperta dei loft e degli open space nelle grandi città americane a partire dagli anni Sessanta. La possibilità di riutilizzare ampi spazi post-industriali e produttivi costruiti in aree più esterne al centro, e quindi più economiche, spinse una generazione di giovani creativi a cercare spazi fluidi in cui lavoro e vita quotidiana potessero convivere. A partire da quel momento l’immagine del loft diventò l’icona della critica a un’idea di città rigida e divisa per funzioni, in favore di un’idea più complessa e dinamica del vivere contemporaneo che poi è entrato stabilmente nelle nostre vite e a tutti i livelli sociali.
CARLO ANNESE
Quello che nemmeno le pareti danzanti riescono a fare, però, è dotare l’Italia delle infrastrutture necessarie per completare la transizione ibrida. «Hai voglia a dire “tutti a fare smartworking da casa”, se la banda larga si ferma alla circonvallazione dei capoluoghi e non esiste possibilità di misurarsi sui risultati, anziché sul cartellino timbrato», scrivono Aloisi e De Stefano nel libro Il tuo capo è un algoritmo. Sull’innovazione, insomma, siamo indietro. E anche se proprio sulla banda larga abbiamo un po’ recuperato, appena si arriva al gigabit di velocità la rete copre solo il 34% della popolazione contro il 54% del resto d’Europa; nel 2026, due milioni di abitazioni non saranno ancora raggiunte dalla fibra.
[Chiara Bisconti]
Io vedo purtroppo un’assenza del dibattito pubblico a livello nazionale su dotare l’Italia intera di infrastrutture 5G e infrastrutture digitali che permettano di portare la possibilità di lavorare agilmente in tutto il Paese.
CARLO ANNESE
Questa è di nuovo Chiara Bisconti.
[Chiara Bisconti]
(…) Vedo invece però a livello territoriale esempi di città, e Milano in questo è stata caposcuola da sempre, dove si iniziano a declinare politiche territoriali e urbanistiche che non sono più nel disegno novecentesco – quartieri dormitorio, dove appunto vivere e dormire, e centri direzionali, o il centro stesso, dove si va a lavorare – ma isole, luoghi policentrici dove tendenzialmente la persona in modo fluido e vive e lavora, e quindi con distanze raccorciate – è questa città dei 15 minuti, dove, appunto, si riescono a portare tutte le funzioni che questa vita fluida che il lavoro agile permette – la persona può fare in spazi più ristretti e più vicini alla sua abitazione.
CARLO ANNESE
A questo punto, la vera domanda è: torneremo, un giorno, a lavorare in un ufficio? E come sarà? Open space con scrivanie incollate l’una all’altra e telefoni fissi che squillano, come quelle Anni 50 di Revolutionary Road, il film con Dicaprio, oppure batterie di cubicoli divisi da lastre di plexiglass come in Mon Oncle di Jacques Tati?
[Nicola Russi]
Io non posso ancora dire quando, posso dire che si tornerà in tante forme diverse. Cioè non ci sarà più quella dimensione binaria che distingue a casa dall’ufficio che distingue il weekend dal pendolarismo della settimana che distingue il proprio posto di lavoro appunto da delle zone comuni
CARLO ANNESE
Lui è Nicola Russi, cofondatore di Laboratorio Permanente, studio milanese di architettura che negli ultimi anni ha lavorato per conto di diverse multinazionali sull’ufficio del futuro. Grandi corporation a cui i dipendenti chiedono…
[Nicola Russi]
… di poter tornare in ufficio, rimanere a casa solo uno o due giorni alla settimana che comunque sono fondamentali per coordinare anche delle necessità proprie domestiche e in ufficio sono disposti a dei tavoli a rotazione in cambio di spazi alternativi per poter lavorare, quindi in luoghi informali, luoghi molto domesticizzati da un certo punto di vista, quindi con un comfort anche visivo e una qualità spaziale più simile a quella della casa.
CARLO ANNESE
Quindi lounge, caffetterie e sale riunioni confortevoli e accoglienti come il soggiorno di casa, in un paradossale capovolgimento di ruoli e funzioni. Quello che in un articolo di fine gennaio 2022 il sito americano Bloomberg.com ha definito living-trattino-office, «la versione del comfort food in architettura».
[Nicola Russi]
Ci sono numerose tipologie, addirittura definite anche in base al tipo di arredi che si utilizzano: arredi alti, quindi stools, tavoli alti – hanno un determinato nome per determinati tipi di lavoro. Si dà dei luoghi invece dove poter lavorare in piedi. Quindi semplicemente appoggiando il proprio laptop, quindi touch down e sistemi totalmente veloci e scattanti per fare proprio delle micro meeting.
LUCA MOLINARI
Dai calcoli di Nicola Russi, questo dovrebbe ridurre del 20% la superficie necessaria per un ufficio e del 60% il numero di scrivanie. Si verrebbe a creare, così, lo spazio:
• da un lato, per dare vita a laboratori su un determinato progetto che non durino più solo un giorno, ma una o due settimane, facendo quindi soggiornare le persone in questo luogo di scambio, in modo da stressare al massimo sia le relazioni che la progettualità;
• dall’altro lato, per ospitare aziende piccole o professionisti, esterni ma con interessi comuni, per uno scambio tra pensiero corporate e pensiero freelance.
CARLO ANNESE
Eppure, stando ai dati di World Capital, il mercato immobiliare degli uffici è di nuovo in crescita, trascinato ovviamente da Milano, dove si continua a costruire in verticale: nei primi nove mesi del 2021 ci sono stati investimenti per 1 miliardo e 260 milioni di euro, sul totale di 1 miliardo e 450 milioni spesi in tutta Italia, e nei prossimi 2 anni saranno resi disponibili 729mila nuovi metri quadri.
LUCA MOLINARI
Ma perché, invece, non pensare a uffici all’aria aperta?
CARLO ANNESE
Eh, dimenticavo la tua passione per le provocazioni immaginifiche…
LUCA MOLINARI
Neanche tanto immaginifiche, per la verità! L’architettura, per sua definizione, ci ha protetto dagli eventi atmosferici: come dicevamo anche nel terzo episodio, oggi siamo molto più disposti a rinunciare a una parte del nostro comfort pur di sentirci nella natura, di godere di un orizzonte più ampio, di essere sfiorati da un raggio di sole. E proprio Laboratorio Permanente ha progettato nel giardino di una ex zona industriale di Sesto San Giovanni, riconvertita in centro di uffici, quattro dispositivi diversi di utilizzo che riportano all’aperto alcune funzioni tipiche del lavoro.
[Nicola Russi]
C’è questa meeting room sotto le fronde degli alberi un po’ rialzata che permette diciamo un intimità (…) protetta da delle specie naturali. Abbiamo una common bench, quindi una grande panchina, una lunga panchina comune – sempre tutto e chiaramente dotato di prese dell’elettricità e WiFi e tutto quello che può essere utile. Abbiamo una grande pedana comune con sedute e chaise longue che riproduce un luogo di socialità che altrimenti all’interno di un ufficio sarebbe una lounge o una caffetteria. E poi abbiamo una scalinata che consente addirittura delle riunioni con più persone o delle piccole conferenze all’aperto.
CARLO ANNESE
Un ufficio in mezzo alla natura, sia pure un pezzetto, nel pieno centro di una città. È un po’ quello che inseguiva Flavia Amoroso, l’avvocato che all’inizio di questo episodio ha raccontato le sue dimissioni. Ricordate?, ha lasciato Bologna dopo undici anni e ha deciso di tornare in Sicilia. Non a Licata, però, che è il suo luogo di origine.
[Flavia Amoroso]
La mia scelta è stata quella di non tornare in paese, perché appunto vengo da una provincia che è abbastanza distante proprio geograficamente sull’isola. Quindi ho preferito trasferirmi a Palermo, perché comunque sapevo di voler fare vita da città.
Chiaramente, quando si pensa al Sud, secondo me l’errore è quello di avere una visione idealizzata di alcuni posti: il mare, il buon cibo, il sole. Quello è sicuramente determinante, però se tu hai vissuto undici anni della tua vita in una città che comunque ti ha dato tanto dal punto di vista dell’offerta culturale, degli stimoli (…), ne continuerai ad avere bisogno.
CARLO ANNESE
Oggi Flavia Amoroso è operation manager di South Working, un’associazione che accompagna e sostiene chi decide di trasferirsi a Sud e lavorare da remoto oppure mettendosi in proprio. Molti, come lei, lo hanno già fatto; altri hanno scelto di andare in montagna: hanno cambiato città, hanno cambiato casa; spesso sono tornati a casa. Ma di questo parleremo nel prossimo episodio. A presto.
[SIGLA]
Le case di domani è un podcast di Carlo Annese e Luca Molinari, prodotto da Piano P con il sostegno di Gibus – Pergole e tende per vivere alla luce del sole.
Editing audio di Giulia Pacchiarini. Montaggio di Giacomo Vaghi. Ha collaborato ai testi Cristina D’Antonio.